Vuoi davvero smettere di star male, di soffrire?
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Rabindranath Tagore, grande poeta indiano Premio Nobel per la letteratura cento anni fa, nel 1913, racconta una bella storia. Eccola:
Ho cercato Dio da sempre. In questa vita e in migliaia di vite passate non ho fatto altro che cercare Dio. Più volte l’ho intravisto e ho corso per raggiungerlo, ma lui accelerava, si spostava sempre e così sono arrivato sempre in ritardo. Per vite e vite non sono mai riuscito a colmare la distanza tra me e lui.
Ma questa volta è successa una cosa nuova, e un giorno mi sono trovato davanti a un cancello con una targa: Questa è la casa dove abita Dio.
Sono entrato e ho cominciato a salire una lunga scala e per la prima volta ero davvero preoccupato, turbato, tremante.
Pensavo: se questa è davvero la casa di Dio, una volta che avrò bussato alla porta e lui avrà aperto, cosa succederà allora?
Intanto ero arrivato in cima e stavo per bussare, quando in un lampo tutto mi fu chiaro: se Dio apre la porta, tutte le mie ricerche, i miei studi, i miei pellegrinaggi, è tutto finito. Le mie grandi avventure, gli aneliti del mio cuore, la mia poesia: è la fine, non resta più nulla. Praticamente è un suicidio!
Allora, con grande cautela mi sono tolto le scarpe, mi sono girato e ho cominciato a ridiscendere la scala, facendo grande attenzione a non fare alcun rumore: non volevo che accidentalmente Dio aprisse la porta e si accorgesse di me.
Tornato in strada, ho cominciato ad allontanarmi dalla casa, e poi a correre e correre senza voltarmi indietro, per andare il più lontano possibile.
Adesso che so dov’è la sua casa posso continuare a cercare e cercare senza paura, basta che eviti quel posto.
Me lo ricordo molto bene, devo solo stare attento a non finirci per sbaglio, a non bussare inavvertitamente a quella porta, a non entrarci.
Altrimenti tutto sarebbe finito.
Questa è la nostra vera e inconfessabile paura: che con la fine delle nostre sofferenze, con la scomparsa dei nostri problemi anche noi scompaiamo. E’ un serio problema di identità che naviga al di sotto del radar della nostra normale consapevolezza.
L’incubo che esorcizziamo è che la nostra identità di goccia nell’oceano della vita perda i suoi confini, perchè nell’oceano la goccia scompare.
Ma puoi anche cogliere l’altra faccia della Verità: quando l’oceano si riversa nella goccia, la goccia diventa l’oceano. Sei tornato a casa.
Quando questo accade, si lacera il velo dell’illusione che ti ha accompagnato per tanto tempo. Adesso sai di non essere separato da Dio. L’umano e l’infinito, il creato e il non manifesto occupano e coabitano nella stessa forma.
L’umano ha riscoperto la sua natura divina, infinita ed eterna. Adesso conosce il volto che aveva prima di nascere.
E nell’universo può continuare il gioco divino, con le forme che si manifestano e si trasformano.
E così in questa dimensione compare la forma Uomo che visita il pianeta terra per un po’ di tempo, giorni, anni, e con la transizione che chiamiamo morte torna nel regno del non manifesto.
Un momento, un momento: ma dove siamo andati a finire?
Da nessuna parte in particolare, i piedi sono sempre ben piantati per terra e le ricadute pratiche per la nostra vita quotidiana sono assolutamente intriganti.
Questo transito terrestre diventa ancora più interessante.
Gli alti e bassi, la luce e il buio che incessantemente si succedono, continuano a essere fonte di dolore per la forma umana, ma cessa la sofferenza.
FINE DELLA SOFFERENZA.
Ma vediamo meglio come questa comprensione si applica nella pratica.
Per porre termine alla tua sofferenza devi semplicemente dire di si alla vita.
Dire di SI a quello che c’è in questo momento, qualunque forma assuma.
Invece, ti lamenti, ti arrabbi, imprechi, vorresti che le cose fossero diverse.
Non vuoi il dolore che la vita inesorabilmente porta con sè.
Questa resistenza e rifiuto del dolore crea la tua sofferenza.
Perché il dolore viene da fuori, ma la tua sofferenza viene da dentro.
Questa lotta, questo NO si traduce in follia bella e buona, ma è la normalità, quello che fanno tutti: non fai così anche tu?
E cosa vuol dire – esattamente – accogliere quello che la vita ti da?
Significa riconoscere che in questo momento le cose sono come sono.
La realtà di questo momento è quella che è e non la puoi cambiare perché è già accaduta.
Significa rassegnarti perché non hai più la forza di combattere?
Significa rinunciare alla tua dignità, o al tuo diritto a essere felice?
Ma in che modo dire SI alla vita pone termine alla sofferenza?
Non è una dimostrazione di debolezza e rassegnazione?
Al contrario.
Dire di si alla vita, non volere che in questo momento le cose siano diverse da quello che sono, è un atto di suprema intelligenza.
Significa che sei libero, per un momento, dalla tirannia dei tuoi condizionamenti.
Dire di si a quel che c’è in questo momento ti permette di rispondere dal cuore, invece che reagire dalla testa.
Ti permette di riprendere la tua vita nelle tue mani, di non lasciare che la tua divina commedia si trasformi in oscura tragedia.
Significa che torni consapevole del vasto e infinito cielo nel quale si muovono le nuvole dei tuoi pensieri che possono oscurare il sole per qualche attimo, ma di certo non sconfiggerlo.
Significa la fine della sofferenza.
Significa che la benedizione del cielo e quella della terra ti permettono di vivere la tua vita nella gratitudine.
Grazie.